Anniversari

Abbandonare il sepolcro
Omelia di don Pietro Adani in occasione del 1° Anniversario

Certamente, un anno fa, non immaginavo questa giornata in questo giorno. Non pensavo al primo anniversario della nascita al cielo di Cristian proprio nel cuore del mistero Pasquale, nell'ottava di Pasqua. Nel giorno, per noi cristiani, così fondamentale che Cristian ci aiuta proprio con la sua vita a vedere tutta la bellezza della sua esistenza, proprio nella luce del Risorto. E le letture che abbiamo ascoltato vorrei che ci prendessero un po' per mano per continuare a camminare su ciò che abbiamo ricevuto. Ma soprattutto, le letture di oggi nella vita di Cristian, di fatto molto coincidente, ci costringono a prendere questo filone. Ecco la memoria di questo anno. Il Vangelo inizia proprio così, con una frase quasi infelice, "abbandonato in fretta il sepolcro". Il Signore ci invita a non stare lì. Se siamo stati lì quest'anno... abbiamo perso un anno. Se la memoria è stare legati a un sepolcro, non abbiamo capito la vita di Cristian, non abbiamo capito la sua voglia di vita, non abbiamo capito il mistero della nostra fede. Certo, si può andare via in due modi, ci dice il Vangelo di oggi: la corsa di queste donne e i soldati. Anche loro abbandonano il sepolcro. Lo abbandonano per quello che è la dinamica del cuore umano da sempre e per sempre, che vale per ciascuno di noi: per dei soldi e per una posizione sociale, per essere rassicurati, per essere garantiti. Si può andare via dal Sepolcro attraverso queste due vie. Allora sta a noi vedere questo anno, soprattutto per rinnovare insieme il senso pieno di essere qui oggi.

Non siamo qui per tornare al sepolcro, siamo qui nell'Eucarestia per fare la memoria che Cristo stesso ha chiesto di Lui, per vivere già? Abbiamo ascoltato ieri "per cercare le cose di lassù " dove si trova Cristo, per cercare nella vita di Cristian quel nascondimento della liturgia sempre di ieri, dello Sposo, e lasciarlo venire fuori nella sua forza. Cristian ha lottato fino alla fine per amare questa vita e perché noi, i suoi amici, amassero questa vita e prendessero posizione di fronte alla vita. Ecco il Vangelo di oggi: che posizione ho preso di fronte alla vita? Perché sono venuto via dal sepolcro? O sono rimasto lì? Se sono venuto via dal sepolcro, per quale motivo sono venuto via? Chi mi ha spinto ad andare via? La rassicurazione? O sono rimasto lì nostalgicamente a fuggire dall'unica cosa che Cristian desiderava, che Cristo desidera: prendere posizione. Di fronte, e con la tua vita, prendere posizione. Cristian questo lo ha fatto, non nascondiamocelo. Quando è stata ora ha dovuto prendere posizione, ha preso posizione, ha fatto delle scelte, ha scelto di vivere, ha scelto di cercare Cristo, ha scelto un cammino, ha scelto un percorso, ha scelto alzando l'asticella non con quello che veniva o non veniva incontro, non certamente ad un certo punto con la rassicurazione della vita. SCEGLI! Ecco la nostra preghiera di oggi: Cristian aiutaci a scegliere. Aiutaci a prendere una posizione ferma, forte, coraggiosa, da non sciupare un solo istante di questa magnifica avventura che è la vita, che è la vita insieme, che è la vita cristiana! E tutti noi arriviamo sempre a Cristo attraverso qualcuno che ha preso posizione. Queste donne abbandonano il sepolcro di corsa... certo, con timore e gioia grande: queste due cose abitano sempre la nostra vita. Abbiamo ascoltato anche nella sequenza “morte e vita si sono affrontate in un duello”.

Timore e gioia grande abitano sempre nella natura dell’uomo quando si compiono le cose più belle. Il timore di Dio. Chiediamo davvero, davanti al mistero della vita di Cristian, di recuperare nella vita la sua bellezza, che non è la paura… In effetti, Gesù, la cosa che ridice è che non dobbiamo temere di vivere, non dobbiamo temere di osare nella vita, di spingerci più in là nella vita, di cercare ciò che davvero dà sapore e sapere a questa vita, dà coscienza alla nostra vita. Perché Cristo ha quest’attesa nei nostri confronti e perché la vita di Cristian è stato questo: non è stata una vita nel passato, è stata una vita proiettata, amata, incarnata nel presente ma sempre con una sana, vera, bella tensione in avanti. L’essere chiamati ad essere quel chicco vale per tutti noi: quel chicco che sa lasciarsi morire, cioè sa stare dentro la realtà della vita. Non sa trasformare l’immaginazione ideale, ma sa intuire nella lettura del suo cuore la preziosità dell’affidamento, dell’abbandono fiducioso nel Signore che farà cose grandi, farà cose meravigliose della nostra esistenza. Che cosa succede in questo abbandono sull’annuncio del Risorto? Che il Signore rimane fedele a se stesso e ci viene sempre incontro, ci anticipa, lo Sposo. Il Signore viene incontro, non rinuncerà mai a questa possibilità e lo possiamo dire! Un anno fa, quando abbiamo vissuto dentro a una settimana di passione, una settimana di paradiso, una settimana di fraternità, di amicizia. Questa è la verità più bella: è possibile solo grazie all’offerta della vita di ciascuno di noi, offerta che si fa preghiera, che si fa preghiera. Non può esserci un cristiano che ti dice “non ho tempo di pregare”. Proprio dalla vita di Cristian noi lo possiamo dire, non si può non avere tempo per la preghiera! Si può non avere tempo per il lavoro, si può non avere tempo per i figli, si può non avere tempo per la sposa, si può non aver tempo per gli amici, si può non avere tempo per il servizio - e dico delle cose fondamentali - ma NON si può vivere senza preghiera. Perché è la preghiera che ti fa essere amico, è la preghiera che ti fa decidere di fronte alla realtà, è la preghiera che ti fa essere sposo, cioè l’incontro con Cristo. E’ Cristo che ti serve per andare a servire, è Cristo che ti serve per la testimonianza dell’annuncio nel tuo lavoro, è Cristo che ti fa essere amico e fratello. Allora ci si alza prima…che cos’è il tempo della vita?

Cristian è nell’eternità oggi. Cristian contempla i cieli aperti, Cristian contempla l’amore del Padre, Cristian è felice. Trasformiamo questo senso di nostalgia proprio in una potenza di una gioia grande, nuova, che ci aiuta ad abitare la nostra esistenza e il nostro tempo, che ci aiuta ad educare i nostri figli nella tensione verso il paradiso. Diceva don Pietro Margini che amare è voler rendere felice l’altro, questo è il paradiso. Questo davvero ho vissuto insieme ad Elena, a Francesco, agli amici, a Mariachiara … aver sfiorato il paradiso, ma non mi basta. Non mi basta quella carezza, non mi basta quell’ustione, io voglio vivere il paradiso, io voglio andare in paradiso. Io voglio che tutto nella mia vita sappia di questo desiderio, di questa decisione, perché è il regalo più grande che puoi fare alle persone più vicine e al mondo, ma prima di tutto è il regalo più grande che fai a te stesso, dove tutto si trasforma. Queste donne ricevono questo annuncio “Salute a voi, rallegratevi!”. Pensate a che parola, immerse nel dolore della perdita, “Rallegratevi!”. “Salute a voi”, che prepara questo andare in Galilea. “Annunciate il Signore”. Ecco la strada, ecco la testimonianza, ecco il senso della nostra esistenza: condividere, conversare su come abbiamo incontrato Gesù, su come Gesù si è reso visibile perché solo Lui cresce, è solo quell’annuncio che ci permette a un certo punto di trasformare la nostra vita in un dono e di trasformare il tempo in un’opportunità decisiva di incontrare Dio, di vivere in Dio, di portare Dio sempre e comunque con noi, in tutto ciò che facciamo. Il nostro respirare ed essere in questa comunione con Dio e tutta la nostra vita si trasforma in preghiera, cioè si trasforma nella capacità di vedere Dio che ci viene incontro, se mi do il tempo della preghiera. Allora tutto si trasforma in questa esperienza in cui riconosco che Cristo mi viene incontro, e Cristo tende la sua mano, si lascia baciare i piedi e io entro nella vera dimensione degna dell’uomo che è l’adorazione, tipico dell’innamoramento. Ecco l’adorazione: torniamo ad essere capaci di adorare il mistero che si fa carne, che è presente. Torniamo ad adorare e a guardare la realtà con questo spirito che il Signore ci insegna, Lo adoro. È un’adorazione che non è fine a se stessa, che non ci tiene ancora bloccati lì. È un’adorazione che ci muove, che il Signore poi ci lascia, che muove, che ci fa rivivere l’adorazione, cioè ci rende forti di decidere, forti di prendere il largo, forti di consacrare la nostra vita, soprattutto in questo tempo così ferito proprio nell’intimo dei valori della dignità dell’uomo. Io cosa vedo? Cosa ascolto? Che cosa ci sto a fare? Perché il Signore mi fa vedere, mi fa sentire. Sterili chiacchiere oppure prendo posizione e mi decido? Con tutte le mie povertà che conosco, con tutte le mie incapacità di correre o di cadere durante la corsa, ma mi decido, perché questa è la dignità dell’uomo: la libertà di decidersi. La libertà di dire “io ci sono Signore, io ci provo Signore, io corro e rimango”. È solo lì che riesce il nostro rapporto con Dio e diventiamo amici. Chi sono gli amici? Coloro, dice Gesù, voi che avete condiviso con me … non vi chiamo più servi ma amici perché avete condiviso con me. Che cos’è l’Eucaristia? Che cos’è lo spezzare del pane? E’ a spezzare proprio il pane che incontri il Signore durante la vita, e portiamo dentro l’Eucaristia fraterna. Per forza non funziona l’Eucaristia, se non c’è vita fraterna non c’è l’Eucaristia. Se non c’è esperienza di comunità non ci può essere Eucaristia, è un momento sterile e individualista che non serve che si abbandoni (e fa bene) il ragazzo … ci sono tanti giovani a non andare a messa. Esigete la vita comunitaria, perché altrimenti l’Eucaristia non è nulla. Esigete da voi stessi la vita di amicizia, esigetela in tutta la sua bellezza e in tutta la sua forza, in tutto il suo vigore e in tutta la radicalità nel suo dono. Non vi chiamo più servi ma amici. L’incontro con Cristo ci libera e Cristian ci ha rivelato questa libertà. Questo desiderio di essere liberi perché ho scelto di seguire Cristo, perché ho scelto di camminare con Cristo. Ma non perché gli altri saranno la comunità ideale, che abbiamo visto giovedì … è una comunità reale quella a cui si lava i piedi. Noi siamo dei fifoni, invochiamo poco lo Spirito Santo, sempre pronti a difendere il nostro micro asfittico spazio. Una comunità reale di gente che era vanitosa, di gente che ha tradito, di gente che ha rinnegato, ha avuto paura … ma si sono salvati non per i loro meriti, ma perché si sono lasciati lavare, si sono lasciati amare da Dio nella loro debolezza, nella loro realtà; cosa che poi è continuata anche dopo, ma si sono ritrovati lì e sono ripartiti dall’incontro con Cristo per imparare ad amare Dio.

Questa è la Chiesa. Questa è la Chiesa di Cristo, è la Chiesa di persone che hanno il coraggio di prendere posizione con la loro vita e di donare la loro vita secondo il dono magnifico della vocazione di ciascuno. Sta a noi decidere se andare in Galilea per l’incontro che Cristian ci ha fatto fare di Gesù Cristo o andarci per altre strade. Io penso e spero, davvero, Cristian, che doni a tutti noi, a tutte le età, non solo ai giovani, anche agli adulti, la libertà di dire Si! Vado in Galilea. Vado in Galilea ad annunciare che Cristo è vicino e non mi basta accarezzare il paradiso, io voglio entrare nel paradiso, voglio vivere ogni istante di questa vita in questo desiderio profondo del mio cuore: di abitare e di anticipare le logiche del paradiso qui sulla terra. Costi quello che costi, costi quello che costi: fino al sacrificio di sé. Non c’è niente di più bello che meriti la nostra offerta, che la tensione verso il paradiso. Non c’è niente di più triste di un giovane che non sa sacrificarsi, vuol dire che non saprà mai amare, vuol dire che non sarà mai felice. Chiediamo al Signore di avere questo desiderio sacrificato e offerto di Cristian anche noi viviamo il mistero della croce: quel talamo nunziale che ci introduce in una vita piena qui ed ora e in una corsa. C’è quella sana fretta di chi ha incontrato l’amore, di chi ha qualcuno, qualcosa di prezioso da dire, tanto che queste donne lasceranno anche Gesù per poter andare a dare agli apostoli l’annuncio. Diventa quasi più importante l’esperienza dell’annuncio che il contenuto perché è annunciando che noi viviamo la presenza amante di Gesù Cristo.


Venite e vedrete
Omelia di don Pietro Adani in occasione del 4° Anniversario

Ringrazio don Giacomo e voi ragazzi per questa provvidenziale e felice circostanza, di celebrare questa Eucarestia durante la vostre liturgie coi giovani intorno al Signore nel cammino che state facendo. Penso sia un dono grande e dal cielo Cristian ringrazia e ci aiuta a comprendere il senso anche di essere qui noi insieme a lui. Perché il signore ha chiesto di fare l’Eucarestia? Per questo, per essere qui, per essere qui a guardare dove? A pensare a cosa? La memoria della morte di Gesù raccoglie la memoria della morte di ciascuno dei nostri cari, la memoria della morte di un giovane, che ha amato la vita fino alla fine; ma che a un certo punto si è lasciato incontrare. Non ha deciso tante cose Cristian nella sua vita, come tanti di noi non decidiamo tante cose. Tante cose accadono, a noi sta trovarne il significato e il senso, ma non sempre riusciamo anche a trovare quello. Perché il Signore quindi ci ha detto: “Fate questo in memoria di me” (Lc. 22,19), cioè ricordatemi nell’Eucarestia? Innanzitutto ricordatemi in un rendimento di grazie; e oggi il nostro cuore, almeno il mio, si è alzato in una grande riconoscenza. Per me oggi è Pasqua: è la memoria di una Settimana Santa, di grazia, che ho potuto vivere e non credo di riuscire mai a poterla raccontare, se non con la vita. Cioè l’esperienza dell’amore di Dio che ci passa attraverso l’incontro straordinario con chi, ad un certo punto, lo riconosce e lo accoglie.

Ecco la frase che è stata ricordata da Luca all’inizio: se è vero che l’amore chiede questo, allora non posso che gioirne. Che è difficile davvero da comprendere fino in fondo. E cosa vuol dire gioire di tutto quello che è stato raccontato all’inizio da Luca della vita di Cristian? Certo, se non c’è la prospettiva di fede è giusto stracciarsi le vesti. Se non c’è la fede non c’è niente di sensato nel racconto della vita di Cristian. Si dovrebbe dire una parola che in Chiesa non si può dire: una vita sfortunata, da starci quasi lontano. E quindi più la spieghi più è difficile perché sembra che tu voglia edulcorare la cosa. E’ come l’Eucarestia, cioè tu non puoi raccontare fino in fondo la fede; puoi semplicemente dire come ha fatto Gesù con i suoi: “Venite e vedrete” (Gv. 1,39). Vedete, non ha posto un ragionamento. Perché sul Tabor (Mt. 17,1-8; Mc. 9,2-8; Lc. 9,28-36) Gesù quando è sceso ha chiesto di non raccontare ciò che era accaduto? Perché la parola più bella che Dio ci ha donato è la nostra vita, è la Parola di Dio che si fa carne; ecco l’Eucarestia. Noi ci accostiamo all’Eucarestia proprio perché vogliamo rispondere ad una vocazione; cioè la vocazione di lasciarci abitare dall’amore di Dio, da Dio stesso, che si fa presente nella nostra vita: “Venire e vedrete”. Tutti i cristiani dovrebbero semplicemente dire questo a quelli che incontrano; forse non lo diciamo perché la nostra vita non è più così interessante.

Ecco, la vita di Cristian, invece, suscita questo interesse; suscita, provoca ancora questo interesse, almeno in me. Non l’ho ancora compresa del tutto e penso che non riuscirò a comprenderla se non davanti a lui, davanti all’amore del Padre. Ma l’unica cosa che mi è stato concesso e ci è stato concesso di vivere è stato proprio questo: ”Venite e vedrete”. Non lo sforzo di un ragionamento, ma l’introduzione ad un’esperienza che come Tommaso (Gv. 20, 24-29) ho potuto toccare, ho dovuto toccare. Ho dovuto mettere mano, cioè essere introdotto bene in questa esperienza che, comunque, oggi che cosa mi provoca dentro? Il desiderio di guardare al cielo. Persone che, come dicevamo, cercano di pianificarsi la propria vita e il raggiungimento della propria felicità. Lo vedo anche in terra di missione quando giovani e ragazzi decidono di lasciare un po’ tutto per un anno o due e fanno un’esperienza di felicità assolutamente nell’essenzialità; cioè perdono tutto quello che qui sembra decisivo da avere e chi più lo sa vivere fino in fondo e più viene introdotto all’incontro con se stesso, nel luogo della nostra felicità, in un’esperienza di essenzialità, in una povertà solenne. E cos’è il sacrificio? Questa parola, cosa vuol dire? Rendere sacro; ecco, che cosa ha fatto la vita di Cristian? Ha reso sacro, ha detto qualcosa della vita di Gesù. Gesù in ogni Eucarestia desidera che ciascuno di noi sia consapevole della sacralità. Ecco perché muore donando la vita. Perché chi era lì, quando leggiamo questo Vangelo come gli altri Vangeli della Passione, capiamo quando li si legge; ecco perché è importante leggere e rileggere la parola di Dio. E ancora più bello è proclamarla durante l’assemblea; è davvero una grazia per chi proclama la parola di Dio, perché questa parola ogni volta che la proclami capisci che ti porta. Non è questione di oratoria; ma ad un certo punto senti che devi rallentare, senti che devi respirare quella parola, senti che devi gustare quella parola, senti che devi imparare ad abitare quella parola.Ecco che l’incontro di oggi con Cristian è introdurci e reintrodurci in uno sguardo che si alza, si eleva; si eleva a partire dalla consapevolezza del molto amore che ci è vicino. Senza però mitizzare le persone; il torto più grande che possiamo fare ai santi e alle tante persone che ci hanno insegnato la via del cielo è quello di renderli dei santini. Di perdere, cioè, tutto il pathos, la passione, la lotta, la sofferenza, la battaglia, il pianto, il grido strozzato, le lacrime che non si trattenevano, la rabbia; perché queste battaglie Cristian le ha avute tutte, eccome se le ha avute, e le ha avute a più riprese. Poi ad un certo punto ci sono diciamo delle cose che accadono che noi neanche vogliamo che accadano da un certo punto di vista. Per Cristian è stato sicuramente questo tumore. La scelta di tante persone di essere comunità cristiana; la scelta di prendersi cura dei più piccoli senza sapere che vita hanno avuto o avranno. La fortuna che qualcuno si è preso cura di lui; sono stati incontri gratuiti che gli hanno permesso di introdurlo nell’amore per la vita, nel desiderio di vivere la vita, di abbracciare la vita e a sua volta, nella libertà, di restituirla nel servizio, nella preghiera, nel dono, di sentirla davvero come la sua casa. Poi ci sono stati altri incontri, ne cito uno: quando Cristian è stato ricoverato a Milano ed ha incontrato, stranamente in quanto era stato ricoverato nel reparto di oncologia pediatrica, gli sguardi dei bambini lì ricoverati. Questo incontro, questo sguardo verso queste madri, questo sguardo verso questi bambini con una forza vitale straordinaria. Auguro, soprattutto ai giovani, la grazia di poter entrare almeno una volta in questi reparti. Ebbene questo incontro che Cristian non ha pianificato come la malattia, è sicuramente stato un incontro che lo ha aiutato a comprendere la sua vita, come aveva intuito anche prima, come ad una famiglia allargata.

Noi facciamo fatica ad uscire, noi viviamo la nostra vita sempre pianificata su di me, al massimo arrivo forse su mia moglie, un po’ di più sui bambini, sui figli anche se lì diventiamo un po’ possessivi, ma non riusciamo a concepirci come una famiglia di Dio. Non riusciamo ad entrare fino in fondo nell’Abbà, nella preghiera che ci ha introdotto in uno sguardo completamente diverso su di noi. Cioè a questa fraternità, a questa umanità tutta, che va’ dall’Amazzonia al Madagascar, dall’India alla Cina, alla Francia. Non riusciamo a respirare il profumo e la bellezza di quello che Gesù ci ha rivelato; ecco la sete che abbiamo sentito oggi. Madre Teresa ne fa uno dei sensi più profondi della sua vita: sotto ai crocefissi in tutte le sue case trovi questa frase: “Ho sete” (Gv. 19, 28). Quella inestinguibile sete dell’amore che Gesù ha rivelato nella vita: “Ho sete”. Ho sete di quell’inno che sia incarnato e vissuto come abbiamo ascoltato nella prima lettura, una via e una scuola di vita per ciascuno di noi. Ecco che Cristian, in quel momento lì, si è lasciato trafiggere il cuore, ha accettato questo incontro, ha accettato la durezza di questo incontro e l’ha aiutato questo incontro a comprendere la sua vita, non per sé ma per tutti. Basterebbe questo insegnamento: un incontro provvidenziale può rivoluzionare la nostra esistenza. E nell’Eucarestia c’è questo incontro: dato per voi e per tutti. Un altro passaggio; Gesù sempre parlando della vita dice: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mc. 6, 37), a questa folla, a questa gente.

Cos’ha fatto Gesù sulla croce? Cos’ha chiesto a Maria? In quell’abbraccio straordinario che poco dopo andrà a compiersi e che abbiamo raffigurato in tante opere la più famosa delle quali è forse la pietà di Michelangelo. Quante volte Maria avrà abbracciato Gesù bambino, quante volte come tutte le mamme l’avrà tenuto a sé, quante volte avrà avuto compiacimento di questo figlio così bello. Ecco che questo abbraccio oggi viene rivissuto fino in fondo in un’adesione alla vita di Gesù e in un discepolato di Maria che accoglie questa sete di amore nel segno e nel frammento della vita di Giovanni. Questo abbraccio che ci insegna una gestualità bellissima, che si impara proprio nei luoghi in cui la fisicità perde di interesse. Mi viene in mente sempre l’ospedale dei bambini, questa volta in Croazia, che io chiamavo la beauty farm del cuore, dove la gestualità passa attraverso il tuo cuore. Questo corpo che non ha apparenza di bellezza come l’avrà guardato Maria, come l’avrà abbracciato? Come sarà stata lì? Non in un trattenimento ma in un’adesione profonda di fede. Cos’è l’abbraccio, cosa vuol dire abbracciarsi? Vuol dire aderire intimamente, ecco cosa esprime il corpo, a questa vita.

Cos’ha fatto Cristian durante quel ricovero? Ad un certo punto ha trovato, pian piano, non l’ha imparato subito, ha imparato a lasciarsi trafiggere cioè a sentire che la sua vita non era solo sua, che questa malattia non era solo da capire, ma era principalmente da vivere, cioè che in ogni circostanza della vita la possibilità di dire una parola di amore è possibile, che è l’unica parola di senso, cioè il dono. Fino alla gratuità di dare noi stessi da mangiare, cioè la nostra esistenza. Perché il Signore ci manda in missione due a due e ci chiede la spogliazione? Ci chiede di non fare sicurezza su nient’altro che sull’autenticità della nostra vita. E perché questo non sia un cammino solitario ci pone un fratello accanto: “Andate due a due” (Lc. 10, 1). Nessuno fa esperienza e conoscenza di te senza realmente incontrarsi.E stare dentro ad un incontro vuol dire chiedere ogni giorno a se stesso una conversione che quotidianamente ti educa ad uscire.

Lasciamoci allora in questa serata alzare il cuore e ricordarci la sacralità con cui siamo stati rivestiti; chi ci ha reso sacri, chi ha reso sacra la nostra vita? Viviamo questa Eucarestia con questa unica prospettiva: il Signore desidera che ciascuno di noi senta la preziosità dell’essere suoi. Siamo suoi non per essere messi in una teca, siamo suoi per essere sparati, lanciati nel mondo, per assumere il mondo, per sentire dentro di noi la sete di Dio, che non può che tradursi nel vino della carità. Cioè in una vita di evangelizzazione e di annuncio, non con l’affabulazione della parola ma semplicemente con la povertà della nostra vita resa sacra da Dio.
“Venite e vedete”: a chi possiamo dire questo invito nuziale, questo invito di salvezza eterna con la stessa libertà con cui Gesù l’ha fatto? Lui ci chiede di dire a qualcuno questo vieni e vedi. E’ bello vivere con questa anche solo trasparenza umana, noi tutti così fasciati ed intimoriti che qualcuno conosca realmente il nostro pensiero, che conosca realmente le nostre istintività. Invece no, il Signore ci dice guarda che io le conosco e ti ricordo che la tua vita è sacra, che mio figlio l’ha resa sacra, così sacra che puoi vivere con serenità di sapere che non ci sarà niente e nessuno che t’impedirà di corrispondere ad un amore eternamente presente sulla tua vita. Questa è la scelta di Dio che Cristo ci ha rivelato nella sua vita e, in modo particolare, nella sua passione. Questo è ciò che Cristian ha posto con evidenza e quindi che ci fa guardare al cielo e che ci introduce in quest’ora decisiva della nostra vita, la più bella, quella della Pasqua, cioè la sconfitta di ogni morte, la sconfitta della tentazione che questa vita prima o poi morirà. No, questa vita non muore più, la nostra vita non morirà più; e lo sappiamo come? Quando per qualche istante, frammento di grazia, riusciamo ad abitare l’amore di Dio nella nostra vita, cioè riusciamo a farci incontrare dall’amore di Dio. Questo amore ha anche una forza straordinaria, liberante, piena di prospettiva e di fiducia; sa diffondere fiducia, sa far camminare i claudicanti, sa aprire gli occhi ai ciechi, sa guarire, sa fasciare, sa rialzare, sa riempire di entusiasmo, sa ridare fiducia.
Chiediamo proprio questo oggi: che il guardare al cielo rinvigorisca il nostro amore, pur nella comprensione che anche Maria si è concessa per l’ultima volta di abbracciare quel corpo. Com’è bello questo, com’è umano, com’è umano l’amore di Dio. Noi facciamo di tutto nella nostra vita per essere dei, quando il Signore è venuto a dirci volentieri che farsi uomo era l’opera più bella di tutte: perché? Perché noi siamo capolavori, quell’opera molto buona in cui tutta la Trinità ha partecipato a generare quella unicità che è ben evidente anche qui stasera. Noi siamo unici, irripetibili. Ecco, allora rispondiamo anche noi a quella preghiera di Gesù sulla croce: “Ho sete”. E diamo noi stessi da mangiare.