Pensieri e Omelie

Vuoi darmi la tua vita?

Cari fratelli e sorelle,

siamo qua assieme per pregare per Cristian. Fino all'ultimo osiamo a chiedere a Dio il miracolo della sua guarigione. È un diritto che ci viene dalla Fede, che ci viene dalla Carità e dalla Speranza. Dalla Fede, che ci fa intravedere in Dio l'autore della vita: la vita è Egli stesso. Dalla Carità, che ci fa abbracciare la Passione di Cristo, che avviene anche, miracolosamente, in ogni uomo, secondo una misura che solo Lui decide. La Speranza, perché ci avviciniamo ai giorni della Resurrezione e sappiamo che quanto è accaduto a Gesù è accaduto perché tutti noi potessimo parteciparvi.

Ma nello stesso tempo siamo qui a pregare anche per noi, perché noi si abbia finalmente ad imparare qualcosa da ciò che accade nella vita degli altri. E da ciò che così drammaticamente, e oso dire dolcemente, è avvenuto nella vita di Cristian. Chi lo ha accostato in questi anni, come ho potuto fare anche io, ha colto certamente che in fondo la sua anima era turbata. Ma quello che in lui voleva mostrarsi era, sostanzialmente, la sicurezza di un abbandono. Dobbiamo stare attenti a non essere anche noi come i farisei, che non vedevano, che si rifiutavano di vedere quello che accadeva davanti ai loro occhi. Sempre mi sono chiesto: Dio aveva dato ai farisei doni sufficienti per poter riconoscere in Gesù il Figlio di Dio? E devo rispondere: sì. Dio aveva dato occhi di fede anche ai farisei. Come li aveva dati, lungo la storia di Israele, a tantissimi del popolo dell'Antica Alleanza. Dunque anche noi potremmo essere come i farisei che non riescono a vedere ciò che Dio opera, che non riescono a capire qual è il peso della vita.

Il peso della vita è tale per cui davanti a Dio un attimo è come mille anni. Anche noi allora siamo condotti da ciò che Dio sta chiedendo a Cristian a considerare quale sia il peso vero della nostra esistenza. Che non è poter vivere novant'anni, che non è poter essere riconosciuti dagli altri, ma che è quella profondità di rapporto con Dio, con il mistero di Dio, che solo Lui conosce, solo Lui valuta, solo Lui può pesare, e che avviene in un attimo, come è stato per il ladrone sulla croce. Che può avvenire pienamente in una vita di cinque anni, di dieci anni, di quindici anni, di vent'anni, come Dio vuole. Dio ci chiede dunque di avere uno sguardo in profondità. Che sa cogliere anche i richiami che Lui continuamente fa alla sua Chiesa e dunque a ciascuno di noi. Richiami a vedere ciò che è essenziale.

La pienezza della vita non sta in ciò che è alla superficie, ma sta in ciò che è in profondità. La pienezza della vita sta nel nostro rapporto con Gesù e con i fratelli che Egli ci dona. E in questo veramente si brucia e si consuma come in una offerta davanti a Dio, come un olocausto, tutto quanto il senso di ciò che Egli ci dona. «Che cosa vale la vita se non per essere donata?», fa dire Claudel ne L'annuncio a Maria a uno dei suoi personaggi: «cosa vale la vita se non per essere donata?». È questo quello che ci insegna Cristian in questo momento e quello che ci insegna la Chiesa conducendoci verso la Pasqua.

Gesù è colui che ha donato interamente se stesso, come abbiamo sentito anche stasera, nel suo rapporto con il Padre. Ha donato se stesso interamente al Padre. E perciò ha donato se stesso interamente agli uomini perché ha risposto al Padre. Quae placita sunt ei, facio semper (Gv 8, 29): ciò che piace a Lui è ciò che io faccio sempre. Questo senso della vita di Gesù, Egli misteriosamente lo diffonde, ma lo diffonde non con una dottrina, lo diffonde come una richiesta: vuoi darmi la tua vita? Vuoi darmela per loro? Vuoi darmela per tutti gli uomini? Vuoi darmela per chi non mi conosce? E nel segreto del cuore ciascuno deve preparare la propria risposta.

24 Marzo 2015 - Omelia
S.E. Mons. Massimo Camisasca

Trigesimo

“Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono” (Gv.10-27). Potremmo dire, come dice Gesù facendo forza sul Padre, che nessuno può strapparle dalla sua mano. Cioè c’è un senso di appartenenza in chi si lascia prendere per mano in questo percorso, il percorso della fede che è un percorso ciclico, che si ripete sempre.
Un mese fa lo abbiamo vissuto e ora siamo ancora qui per rivivere questo percorso che è sempre nuovo nella sequela di Gesù. Cristian in fin dei conti, come la vita di ciascuno di noi, ci parla di Cristo. Questo è quello che m’interessa nella vita degli altri; nella vita degli altri m’interessa sempre e solo capire che cosa Cristo mi dice con la sua vita. Può essere anche la vita più cupa, la vita più disperata, la vita più difficile nella sua riconciliazione eppure il Vangelo di oggi mi dice nell’ascoltare: “Tu cercami, io ti parlo”. Questa è l’insistenza di chi? Di chi è innamorato, cioè di chi è innamorato di questa esistenza ossia di questo incontro che trova il suo compimento proprio nella continua rivelazione di Cristo che non finisce mai. “Shema Israel, ascolta Israele” (De.6,4).

Metterci lì, in un’attenzione forte; ciascuno di noi conosce e si lascia conoscere solo nel momento in cui si mette in quest’atteggiamento di ascolto. L’ascolto di chi sa credere nel verbo della vita, cioè nella parola che continuamente parla, instancabilmente parla e sempre dice una cosa sola, l’unica necessaria nella nostra vita: “Ti sono vicino e ti voglio bene”. È lì che nasce l’appartenenza. Ti sono vicino e ti voglio bene; se non ascolti attentamente, se rimani in un ascolto legato anche solo a un mese fa, rimaniamo indietro. Oggi c’è un ascolto nuovo, oggi c’è una parola nuova che nasce anche dalla nostra presenza e dal nostro essere qui ora, adesso. Di essere ancora qui perché non ci basta più quella parola lì, dobbiamo rincontrarla e renderla presente, attuale, quell’Eucarestia, quella parola che oggi mi aiuta a conoscerlo e a riconoscerlo. Solo così lo conosco, è conoscendo Cristo che io mi conosco; non è un caso che quando scappiamo da Cristo scappiamo da lui perché abbiamo paura di noi stessi.

Iniziamo a entrare in quella logica, con lui, di essere amati; finiamo nel deserto delle nostre tristezza che conosciamo bene. Ma non è oggi il luogo e il tempo di parlarne. Oggi è il tempo di parlare di che cosa è capitato a Paolo, bellissimo, nell’episodio degli Atti degli Apostoli, di come Barnaba, invitato a vedere e ad ascoltare che cosa stava accadendo di nuovo nella prima esperienza della Chiesa, va a recuperare Paolo (At.11,22-25).
Paolo dopo l’episodio della via di Damasco non ha finito: è stato alcuni anni nella riflessione e nell’ascolto profondo di ciò che gli era accaduto, nel rivisitare e pensare alla sua vita. E l’amicizia di Paolo e Barnaba nasce proprio nell’annuncio condiviso. Tanto che viene suggellata quest’amicizia e quest’appartenenza che nasce dalla carità più grande e più necessaria alla vita degli uomini che è la testimonianza di annunciare la fede. Tanto che in quel luogo vengono detti cristiani (At.11,26).

Che bello se anche stasera per noi si compie la stessa cosa: cosa desideriamo di più? Che attraverso la vita di Cristian ciascuno di noi stasera possa dire degli altri e riconoscersi nell’essere cristiani, cioè appartenenti, legati a Cristo. Tutte le nostre vocazioni inscindibilmente e radicalmente unite e legate a Cristo: che cos’è l’Eucarestia? Quando facciamo la comunione esprimiamo questo radicale desiderio dei nostri cuori: di vivere in quest’appartenenza fondamentale, di creare lì la logica dell’amore, il nostro criterio fondamentale di vivere e di seguirlo. Ecco che dall’ascolto nasce la conoscenza, dall’ascolto di Dio nasce una conoscenza di Lui e quindi, attraverso di Lui, mi conosco.

Non è un’impostazione mia la conoscenza, è lasciare entrare Cristo dentro la mia vita che mi aiuta a scoprire il dono che sono, l’inestimabile ricco dono che sono. E questo dono a un certo punto ha senso solo se si decide. Questo è il passo più delicato, penso che sia il passo più faticoso, oggi più che mai perché vogliamo partire con la nostra vita pianificata, abbiamo tolto l’aspetto più bello dell’avventura dell’esistenza cristiana, proprio l’avventura che non è incoscienza, è seguire quell’intuizione che ha contraddistinto la vita dei grandi: pensate ad Abramo, pensate a Elia, pensate a Mosè, pensate allo stesso Saulo – oggi abbiamo visto un pezzo della sua vocazione andarsi a completare in un sì – certo nell’incontro con Anania, un incontro di fraternità in cui sono questi due ciechi che vengono guariti: Paolo che viene guarito dalla cecità di non saper accogliere e riconoscere il mistero di Cristo che viene (At.9,3-8), ma anche Anania, di non riconoscere nel fratello Saulo la potenza dell’amore di Dio. Lo vede con i suoi occhi, entrambi vengono guariti e nasce una fraternità in cui lo riconosce fratello: “Dio mi ha mandato a te” (At.9,17). Ecco la sequela: noi siamo i messaggeri dell’amore di Dio; questo vale della vita, non se è lunga o corta, vale se la mia vita è stata irradiazione, è stata evidenza del suo amore. Anche questo è per sempre, questa è la vita dei santi che rimane per sempre. Questo è il dono inestimabile di Dio che m’impreziosisce. Nella vita dei fratelli, attraverso di loro, mi rende evidente il suo amore.

Come usciamo da questa Eucarestia? Con quale decisione nel cuore? Con quei piccoli passi che hanno costruito la grandezza di Cana; qual è il piccolo passo che oggi il Signore m’invita nel suo amore a compiere? Com’è che posso allora ripartire ad ascoltarlo attraverso questo piccolo passo nuovo, che è un’esperienza nuova? Quindi l’ascolto di Dio riparte sempre ogni giorno da una novità di una parola, che però sempre si realizza come Lui ci ha insegnato, facendosi carne, cioè in una scelta quotidiana, di riconciliazione, di perdono e, perché no, di vocazione, di consacrazione. Scusate, che cosa c’è di più logico di Cristian, lui che è stato di Cristo, che è diventato di Cristo, che è di Cristo, più logico nella nostra vita se non dare la propria vita per il Signore? Che cosa c’è di più logico? Che cosa c’è di più ragionevole di questa scelta? Sia la vocazione matrimoniale, sia la vocazione straordinaria di consacrazione, che cosa c’è di più logico che non arrendersi a questa evidenza per noi cristiani? È mettere davanti l’unica sicurezza che abbiamo in questa vita: che Cristo non viene meno, che in quella mano lì, in quell’affetto lì, in quell’abbraccio lì, malgrado tutta l’avventura della mia vita ho quella certezza, che Lui non verrà mai meno, che dalla sua mano nessuno può scappare. Ora ne abbiamo più evidenza, ora è più chiaro in noi, ora è più desiderato per ciascuno di noi il fatto di dire: “Eccomi Signore”, cioè una vita che diventa piena lucidità, piena consegna della sua bontà, viva consegna d’amore della sua bontà.

Chiediamo allora per ciascuno di noi in questo luogo così prezioso di dire il nostro sì, di rinnovare la nostra sequela, di rinnovarla con quella decisione costante nella nostra vita e di rinnovarla con quella certezza, che anche noi siamo chiamati ad andare a chiamare un Saulo, oppure come Saulo essere richiamati, e rinnovare la nostra fede proprio nel dono della testimonianza di fede.

28 Aprile 2015 - Omelia
don Pietro Adani